sabato 20 dicembre 2014

Processo telematico: al via le notifiche telematiche nel processo penale

Dal 15 dicembre anche nel processo penale si affaccia la Information tecnology. Da questa data, in attuazione dell’art. 16 comma 9 lett. c) bis, D.L. 18 ottobre 2012 n.179, in materia di "biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica ... a persona diversa dall'imputato a norma degli art. 148 comma 2-bis, 149, 150 e 151 comma 2 del c.p.p." nel processo penale, la PEC diventa “alternativa privilegiata” rispetto agli attuali metodi di comunicazione consentiti (telefono, telefax, ufficiale giudiziario).

In questo senso, piuttosto che nel senso di una stringente obbligatorietà, depone la Circolare ministeriale congiunta Dipartimento Affari di Giustizia e Dipartimento Organizzazione giudiziaria del Ministero della Giustizia dell’11 dicembre scorso.

Uffici Giudiziari coinvolti. Dal 15 dicembre 2014 dunque entrano in vigore le disposizioni che prevedono la notifica telematica a mezzo di Posta elettronica certificata da parte delle Cancellerie e degli Uffici giudiziari penali ai soggetti diversi dall’imputato nei procedimenti innanzi ai Tribunali ed alle Corti di Appello e nei procedimenti "virtualmente destinati a Tribunale e Corti di Appello"; intendendosi con ciò che anche gli Uffici delle Procure della repubblica e delle Procure Generali presso le Corti d'Appello. Per quanto riguarda la Corte di Cassazione, gli uffici del giudice di pace, gli Uffici di sorveglianza ed i Tribunali per i minorenni, l'entrata in vigore dell'”obbligatorietà” delle notifiche e comunicazioni penali, sarà differita al quindicesimo giorno successivo la pubblicazione in G.U dei Decreti del Ministro della Giustizia che accertino la funzionalità dei servizi di comunicazione (ex art. 16 comma 9 lett.d) e comma 10 del D.L. 179/2012).
I soggetti interessati dalle notifiche penali via Pec. I soggetti coinvolti dalla disposizione legislativa sono i soggetti "diversi dall'imputato", con ciò intendendosi non solo i difensori, ma anche le persone offese, le parti civili i responsabili civili nonché i civilmente obbligati per le pene pecuniarie, gli amministratori giudiziari, i consulenti delle parti ed i periti. Ciononostante sarebbe necessario che i destinatari della notifica e comunicazione via PEC sia un soggetto "obbligato" a dotarsi di un indirizzo di PEC (PPAA, Aziende e liberi professionisti iscritti in albi ed elenchi).
La portata estensiva dei potenziali soggetti alle notifiche telematiche penali viene limitata nei fatti dai "pubblici registri " di cui dispongono praticamente per le notifiche le Cancellerie e gli Uffici penali. Difatti il software dispone del solo accesso al Registro degli indirizzi elettronici presso il Ministero di giustizia (c.d. REGINDE che contiene anche le PEC dei professionisti iscritti in Albi o Elenchi, e degli ausiliari del giudice non appartenenti ad un Ordine di categoria).
Tutele per il difensore. In merito alle "Modalità di esecuzione e perfezionamento delle notifiche telematiche"(pagina 8 della Circolare), la Circolare accoglie molte delle indicazioni fornite dall’Ufficio studi del CNF e dalla FIIF in sede di consultazione tecnica, di natura garantista per i cittadini (e per il difensore, loro tramite) e finalizzate a superare l’eventuale default della notifica telematica con i mezzi tradizionali; o a mantenere la valutazione di opportunità (peraltro previste dalle norme richiamate dall'art16 comma IX, lett. c-bis D.L.179/2012) del mezzo più idoneo (si pensi alla necessaria reperibilità del difensore in caso di espletamento di accertamento tecnico irripetibile).
Tutela dei dati sensibili. La tutela dei dati sensibili, secondo la definizione puntuale ed esclusiva dell'art.4, I comma, lett. d) D-Lgs 196/2003, ovvero di dati personali che siano "idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti o sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale" è garantita tramite un meccanismo per il quale l'addetto alla notifica invierà nel messaggio un link che, dietro riconoscimento (si crede attraverso il certificato digitale o, nei casi limite password temporanee) del soggetto interessato (principalmente il difensore) permetta di estrarre l'atto integrale, citato solo negli estremi nella notifica PEC.


Fonte: CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE (Newsletter CNF N. 233 - 16 DICEMBRE 2014)

lunedì 17 novembre 2014

MOLESTIE O DISTURBO ALLE PERSONE SU FACEBOOK

La Prima Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di molestie o disturbo alle persone, va considerato luogo aperto al pubblico la piattaforma sociale Facebook, quale luogo “virtuale” aperto all’accesso di chiunque utilizzi la rete e che, pertanto, integra la contravvenzione di cui all’art. 660 cod. pen. l’invio di messaggi molesti, “postati” sulla pagina pubblica di Facebook della persona offesa.

Cassazione Penale, Sez. I, 12 settembre 2014 (ud. 11 luglio 2014), n. 37596

La violazione dell'art. 660 C.P. (in base a cui «chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516»), per la Suprema Corte è configurabile anche quando le molestie si verificano su di una pagina aperta al pubblico di Facebook, poiché è «innegabile che la piattaforma sociale Facebook (disponibile in oltre 70 lingue, che già nel 2008 contava più di 100 milioni di utenti) rappresenti una sorta di piazza immateriale che consente un numero indeterminato di accessi e visioni, rese possibili da una evoluzione scientifica che il Legislatore non era arrivato ad immaginare».
Si tratta di un’interpretazione estensiva «che la lettera della legge non impedisce di escludere dalla nozione di luogo e che, a fronte della rivoluzione portata alle forme di aggregazione e alle tradizionali nozioni di comunità sociale, la sua ratio impone, anzi, di considerare».
Dunque, integra la contravvenzione di cui all’art. 660 c.p. anche l’invio di messaggi molesti, “postati” sulla pagina pubblica di Facebook della persona offesa.

domenica 9 novembre 2014

IL REATO DI SOSTITUZIONE DI PERSONA SUL WEB

Sostituzione di persona - Creazione e utilizzo di un "account" mediante abusivo utilizzo dell’effige di una terza persona - Reato - Sussistenza

Cassazione Penale, Sez. V, 16 giugno 2014, n. 25774
Presidente Dubolino, Relatore Lignola, P.G. Stabile

Massima

Integra il delitto di sostituzione di persona, previsto e punito dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 494 c.p., la condotta criminosa consistita nella creazione, su un social network, di un profilo che riproduca l’effige della persona offesa e nel conseguente utilizzo, con tale falsa identità, dei servizi del sito, consistenti essenzialmente nella possibilità di comunicazione in rete con gli altri iscritti, indotti in errore dalla identità dell’interlocutore, e di condivisione di contenuti. In punto di elemento soggettivo, il dolo specifico del delitto, consistente nel fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale o non, oppure di recare ad altrui un danno, deve ritenersi integrato nell’ipotesi di utilizzo del profilo al fine di intrattenere rapporti con altre persone (essenzialmente di sesso opposto), ovvero per il soddisfacimento di una propria vanità (costituente vantaggio non patrimoniale), o ancora al fine di ledere la immagine e la dignità della persona offesa, apparentemente titolare del profilo creato dal reo. (Nel caso concreto tale fine è dimostrato dall’aggressione verbale di uno sconosciuto, che accusò l’apparente titolare del profilo di aver insultato la propria fidanzata, minacciandolo di denuncia, nonché dalla rimostranze di una conoscente, che lo accusava di non essere una persona seria).

Un estratto della sentenza 
"(...) L 'art. 494 cod. pen. punisce chiunque, al fine di procurare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all'altrui persona, o attribuendo a sè o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.
Oggetto della tutela penale è l'interesse riguardante la pubblica fede, in quanto questa può essere sorpresa da inganni relativi alla vera essenza di una persona o alla sua indentità o ai suoi attributi sociali; siccome si tratta di inganni che possono superare la ristretta cerchia d'un determinato destinatario, il legislatore ha ravvisato in essi una costante insidia alla fede pubblica, e non soltanto alla fede privata e alla tutela civilistica del diritto al nome.
In questa prospettiva, è evidente la configurazione, nel caso concreto, di tutti gli elementi costitutivi della contestata fattispecie delittuosa.(...)"

giovedì 6 novembre 2014

Maltrattamento di animali dati in custodia: sempre responsabile il proprietario

Il proprietario di un cane è responsabile per le pessime condizioni in cui è tenuto il suo cane anche se lasciato in custodia ad altri. E' suo preciso compito, infatti, dare precise direttive al custode e assicurarsi che le direttive impartite siano rispettate.

CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE III, SENTENZA 6 OTTOBRE 2014, N. 41362.

Si riporta un estratto della sentenza in oggetto: 
"(...) Il reato di cui all’articolo 727 c.p., anche nel testo vigente prima della modifica introdotta dalla Legge 20 luglio 2004, n. 189, e applicabile alla presente fattispecie, non è contravvenzione necessariamente dolosa, in quanto può essere commessa anche per semplice colpa. Detenere animali in condizioni incompatibili con la loro natura o in stato di abbandono, tanto da privarli di cibo e acqua, è penalmente imputabile anche per semplice negligenza Sez. 3, Sentenza n. 32837 del 16/06/2005 Ud. dep. 02/09/2005 Rv. 232196; cfr. altresi’ Sez. 3, Sentenza n. 21744 del 26/04/2005 Ud. dep. 09/06/2005 Rv. 231652).
Nella fattispecie che ci occupa il Tribunale veneto, dopo avere accertato che l’imputato era il proprietario del cane, ha ritenuto che l’imputato, prima di assentarsi, non si era curato di far osservare, da parte della persona incaricata di badare al cane, precise attenzioni (tenerlo con sè, liberarlo per un certo tempo, portarlo in giro al guinzaglio di tanto in tanto e munirlo di cibo e acqua sufficiente). Ha anzi rilevato che alle 15 del 16 agosto, in un momento di piena calura, i recipienti erano insufficienti o non compitamente riempiti, come documentato dalle foto, che ritraevano altresì l’animale con la lingua totalmente estroflessa, gli occhi semichiusi, la pelliccia scomposta ed evidenti ferite sanguinolente alle orecchie. Ha ritenuto irrilevante la circostanza della pomata lasciata per la cura delle orecchie, cosi’ come la distribuzione di crocchette e acqua solo una volta al giorno, perchè dopo appena tre ore dal dichiarato riempimento della pentola l’acqua risultava assente. Ha poi ritenuto fonte di sofferenza il fatto che il cane sia stato lasciato legato ad un a catena troppo corta per quattro giorni salvo che per i pochi minuti destinati alla somministrazione delle crocchette e la situazione – secondo il suo apprezzamento – non sarebbe mutata se la catena fosse stata di lunghezza maggiore: sulla base di tali elementi, il giudice di merito ha concluso per l’esistenza di una situazione di incompatibilità con la natura dell’animale.
Come si vede, si e’ in presenza di un percorso motivazionale giuridicamente corretto e logicamente coerente, come tale non sindacabile in questa sede (...)" 

martedì 20 maggio 2014

Diffamazione su Facebook: la sentenza della Cassazione

Commette il reato di diffamazione chi scrive insulti su Facebook, anche se indirizzati ad una persona di cui non viene fatto il nome e letti da una cerchia ristretta di iscritti.

Cassazione penale , sez. I, sentenza 16.04.2014 n° 16712
Il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico, essendo sufficiente ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo della fattispecie la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due.

Ai fini di detta valutazione non può non tenersi conto dell’utilizzazione di un social network, a nulla rilevando che non si tratti di strumento finalizzato a contatti istituzionali tra appartenenti allo stesso corpo militare di appartenenza dell'autore della pubblicazione on line, né la circostanza che in concreto la frase pubblicata sia stata letta soltanto da una persona. D’altro canto, ai fini dell'integrazione del reato di diffamazione, è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa. (1)

(*) Riferimenti normativi: art. 595 c.p.

(1) Cfr. Cass. Pen., sez. V, sentenza 20 dicembre 2010, n. 7410.

(Fonte: Massimario.it - 18/2014).

venerdì 9 maggio 2014

Dei danni provocati dal cane non risponde il proprietario, ma colui che lo ha con sé in custodia.

La Suprema Corte, con una recente sentenza (Cass. sent. n. 18814 del 16.05.2012.) ha stabilito che il “detentore” e non il padrone dell’animale ha l’obbligo di assumere ogni possibile cautela per evitare e prevenire possibili aggressioni. Quindi, il padrone che chieda ad un amico di prendere con sé il suo quadrupede, sia pure per il tempo necessario a fare la spesa, non risponde delle eventuali aggressioni o lesioni provocate dall’animale stesso. Invece, ne risponde il custode, anche se per il suo compito non ha ricevuto alcun compenso economico.

La responsabilità vien meno solo se il detentore dimostri che il danno è avvenuto per “caso fortuito”. Ovvero di aver usato la necessaria diligenza per evitare l’evento lesivo.