lunedì 30 novembre 2020

I dati informatici (files) sono cose mobili ai sensi della legge penale


La Suprema Corte (II sez. penale) con la sentenza n. 11959 del 10 aprile 2020, 
 afferma il seguente principio di diritto: i dati informatici (files) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer "formattato".

La Suprema Corte analizza criticamente gli orientamenti giurisprudenziali precedenti contrari ed espone le motivazioni per cui i files debbano rientrare nella nozione di cosa mobile e di “materiale apprensione”. Viene ribadito il principio secondo cui  le motivazioni logico-giuridiche devono adeguarsi al significato che un concetto giuridico ha nel un periodo storico in cui viene utilizzato (Corte Cost., sent. n. 414/1995).

Si riportano alcuni stralci della sentenza in oggetto. 

"Il file, pur non potendo essere materialmente percepito dal punto di vista sensoriale, possiede una dimensione fisica costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono, come dimostrano l'esistenza di unità di misurazione della capacità di un file di contenere dati e la differente grandezza dei supporti fisici in cui i files possono essere conservati e elaborati. L'assunto da cui muove l'orientamento maggioritario, giurisprudenziale e della dottrina, nel ritenere che il dato informatico non possieda i caratteri della fisicità, propri della "cosa mobile" (nella nozione penalistica di quel termine) non è, dunque, condivisibile; al contrario, una più accorta analisi della nozione scientifica del dato informatico conduce a conclusioni del tutto diverse."

"Resta, insuperabile, la caratteristica assente nel file, ossia la capacità di materiale apprensione del dato informatico e, quindi, del file; ma occorre riflettere sulla necessità del riscontro di un tale requisito - non desumibile dai testi di legge che regolano la materia - perché l'oggetto considerato possa esser qualificato come "cosa mobile" suscettibile di divenire l'oggetto materiale delle condotte di reato e, in particolare, di quella di appropriazione."

"Si è giunti da parte delle più accorte opinioni dottrinali - in modo coerente con la struttura dei fatti tipici considerati dall'ordinamento (caratterizzati dall'elemento della sottrazione e dal successivo impossessamento) e dei beni giuridici che l'ordinamento intende tutelare sanzionando le condotte contemplate nel titolo XIII del codice penale - a rilevare che "l'elemento della materialità e della tangibilità ad essa collegata, della quale l'entità digitale è sprovvista, perde notevolmente peso: il dato può essere oggetto di diritti penalmente tutelati e possiede tutti i requisiti della mobilità della cosa".
"A questo riguardo va considerata la capacità del file di essere trasferito da un supporto informatico ad un altro, mantenendo le proprie caratteristiche strutturali, così come la possibilità che lo stesso dato viaggi attraverso la rete Internet per essere inviato da un
sistema o dispositivo ad un altro sistema, a distanze rilevanti, oppure per essere "custodito" in ambienti "virtuali" (corrispondenti a luoghi fisici in cui gli elaboratori conservano e trattano i dati informatici); caratteristiche che confermano il presupposto logico della possibilità del dato informatico di formare oggetto di condotte di sottrazione e appropriazione."

"In conclusione, pur se difetta il requisito della apprensione materialmente percepibile del file in se considerato (se non quando esso sia fissato su un supporto digitale che lo contenga), di certo il file rappresenta una cosa mobile, definibile quanto alla sua struttura,
alla possibilità di misurarne l'estensione e la capacità di contenere dati, suscettibile di esser trasferito da un luogo ad un altro, anche senza l'intervento di strutture fisiche direttamente apprensibili dall'uomo."

"Dal punto di vista dell'effettiva realizzazione, attraverso le condotte appropriative di dati informatici, dell'effetto di definitiva sottrazione del bene patrimoniale al titolare del diritto di godimento ed utilizzo del bene stesso, le ipotesi di appropriazione indebita possono differenziarsi dalla generalità delle ipotesi di "furto di informazioni", in cui si è frequentemente rilevato che il pericolo della perdita definitiva da parte del titolare dei dati informatici è escluso in quanto attraverso la sottrazione l'agente si procura sostanzialmente un mezzo per acquisire la conoscenza delle informazioni contenute nel dato informatico, che resta comunque nella disponibilità materiale e giuridica del titolare (valutazione che aveva indotto il legislatore, nel corso del procedimento di discussione ed approvazione della L. 23 dicembre 1993, n. 547 - recante modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di criminalità informatica -, ad escludere che alle condotte di sottrazione di dati, programmi e informazioni fosse applicabile l'articolo 624 c.p. " pur nell'ampio concetto di "cosa mobile" da esso previsto", in quanto "la sottrazione di dati, quando non si estenda ai supporti materiali su cui i dati sono impressi (nel qual caso si configura con evidenza il reato di furto), altro non è che una "presa di conoscenza" di notizie, ossia un fatto intellettivo rientrante, se del caso, nelle previsioni concernenti la violazione dei segreti": così la relazione al relativo disegno di L. n. 2773). Infatti, ove l'appropriazione venga realizzata mediante condotte che mirano non solo all'interversione del possesso legittimamente acquisito dei dati informatici, in virtu' di accordi negoziali e convenzioni che legittimano la disponibilità temporanea di quei dati, con obbligo della successiva restituzione, ma altresì a sottrarre definitivamente i dati informatici mediante la loro cancellazione, previamente duplicati e acquisiti autonomamente nella disponibilità del soggetto agente, si realizza il fatto tipico della materiale sottrazione del bene, che entra a far parte in via esclusiva del patrimonio del responsabile della condotta illecita.
Ritiene, pertanto, la Corte che nell'interpretazione della nozione di cosa mobile, contenuta nell'articolo 646 c.p., in relazione alle caratteristiche del dato informatico (file) come sopra individuate, ricorre quello che la Corte costituzionale ebbe a definire il "fenomeno della descrizione della fattispecie penale mediante ricorso ad elementi (scientifici, etici, di fatto o di linguaggio comune), nonché a nozioni proprie di discipline giuridiche non penali", situazione in cui " il rinvio, anche implicito, ad altre fonti o ad esterni contrassegni naturalistici non viol(a) il principio di legalità della norma penale - ancorché si sia verificato mutamento di quelle fonti e di quei contrassegni rispetto al momento in cui la legge penale fu emanata - una volta che la reale situazione non si sia alterata sostanzialmente, essendo invece rimasto fermo lo stesso contenuto significativo dell'espressione usata per indicare gli estremi costitutivi delle fattispecie ed il disvalore della figura criminosa. In tal caso l'evolversi delle fonti di rinvio viene utilizzato mediante interpretazione logico-sistematica, assiologica e per il principio dell'unità dell'ordinamento, non in via analogica" (Corte Cost. n. 414 del 1995)."