lunedì 11 ottobre 2021

L' errore diagnostico nell'esercizio dell'attività medica per la Suprema Corte



L’esercizio dell’attività medica impone a chi la pratica la massima prudenza, perizia e diligenza nello svolgimento degli atti medici che essa comporta e pertanto in primo luogo nella effettuazione della diagnosi e nella individuazione della terapia, anche chirurgica, che si rende necessaria: quando più alternative sono possibili, il medico deve improntare le proprie scelte alla massima prudenza, per evitare di mettere a rischio la salute e la vita del paziente. Cosicché, l’errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca a inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga a un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi. Il medico, infatti, deve valutare se occorra compiere gli approfondimenti diagnostici necessari, per stabilire quale sia l’effettiva patologia che affligge il paziente e adattare le terapie a queste plurime possibilità: fino a quando il dubbio diagnostico non sia stato risolto e non vi sia incompatibilità tra accertamenti diagnostici e trattamenti medico-chirurgici, il medico che si trovi di fronte alla possibilità di diagnosi differenziale non deve accontentarsi del raggiunto convincimento di aver individuato la patologia esistente quando non sia in grado, in base alle conoscenze dell’arte medica da lui esigibili, di escludere la patologia alternativa, proseguendo gli accertamenti diagnostici ed i trattamenti necessari. Di guisa che l’esclusione di ulteriori accertamenti può essere giustificata esclusivamente per la raggiunta certezza che una di queste patologie possa essere esclusa ovvero, nel caso in cui i trattamenti terapeutici siano incompatibili, che possa essere sospeso quello riferito alla patologia che, in base all’apprezzamento di tutti gli elementi conosciuti o conoscibili, se condotto secondo le regole dell’arte medica, possa essere ritenuto meno probabile, sempre che la patologia meno probabile non abbia caratteristiche di maggiore gravità e possa, quindi, essere ragionevolmente adottata la scelta di correre il rischio di non curarne una che, se esistente, potrebbe però provocare danni minori rispetto alla mancata cura di quella più grave.


Cassazione Penale sentenza n. 12968 del 6 aprile 2021.