martedì 16 aprile 2019

I reati di commercio di prodotti con segni falsi e di ricettazione


La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 10212 dell’8 marzo 2019, ha ribadito il suo orientamento giurisprudenziale per quanto riguarda il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi ed il valore indiziante della omessa o non attendibile indicazione della provenienza del bene per il reato di ricettazione.
In base a tale sentenza, dunque, “integra il reato di commercio di prodotti con segni falsi la riproduzione di un personaggio di fantasia, tutelato da marchio registrato, ancorché non fedele, ma espressiva di una forte somiglianza, quando sia possibile rilevare un’oggettiva e inequivocabile possibilità di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore” .

Ha stabilito, inoltre che, perché possa ritenersi sussistente il  delitto previsto e punito dall'art. 474 C. P.,  quando "si tratti di marchio di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici, non è richiesta la prova della sua registrazione, gravando in tal caso l’onere di provare la insussistenza dei presupposti per la sua protezione su chi tale insussistenza deduce”.

Infine, riguardo al reato di ricettazione ex art. 648 C. P., la Suprema Corte ribadendo il suo consolidato orientamento, ha confermato che per la sua configurabilità “la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta,  la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede”.