lunedì 19 dicembre 2011

Ingiuria, diffamazione a mezzo stampa e su internet.


La tutela dell’onore e della reputazione. Ingiuria, diffamazione a mezzo stampa e su internet.

- Prima parte.
 
Un tema di particolare interesse è quello della tutela dell’onore e della reputazione (ingiuria, diffamazione a mezzo stampa e su internet), materia di cui spesso mi sono occupata nel corso della mia attività professionale.
E' mia intenzione articolare una serie di interventi in materia, con varia cadenza, soffermandomi sulle problematiche sottese.

Iniziamo col delineare il reato di diffamazione, dato che è tra i reati più ricorrenti commessi in internet.

Per l’art. 595 C.P., commette tale reato chi, comunicando con più persone, offende l'onore o il decoro di una persona non presente.

 L’ipotesi della diffamazione on line è contemplata dal 3° comma: diffamazione realizzata mediante un mezzo di pubblicità (tale, infatti, internet è considerato nella percezione normativa consolidatasi). Essa è ritenuta un’aggravante in considerazione della particolare diffusività del mezzo adoperato e nel potere di persuasione psicologica e di orientamento d’opinione, determinanti un maggior danno.

In sintesi, la diffamazione consiste in una manifestazione di pensiero offensiva per l’altrui reputazione commessa in assenza del soggetto passivo e comunicando con più persone.

La diffamazione è un reato a forma libera nel senso che l’offesa può essere arrecata con qualsiasi mezzo espressivo (a voce, per iscritto, con gesti).

E' un reato di pericolo, in quanto per la sua consumazione si prescinde dall'effettivo discredito sociale che sia derivato al soggetto passivo.
Quindi, si consuma quando e dove è avvenuta la comunicazione offensiva della reputazione altrui e, per offesa, non si deve intendere l'avvenuta lesione del bene giuridico, essendo sufficiente che esso venga aggredito o messo in pericolo.

In base alla giurisprudenza, inoltre, bisogna distinguere tra espressioni di per se obbiettivamente offensive, tali da ledere l’onore e il decoro di qualsiasi persona e le espressioni che pur non avendo tale valenza offensiva possono acquistarla in relazione a particolari circostanze (come la personalità delle parti, i rapporti intercorrenti tra esse, l’ambiente in cui si svolge il fatto, gli antecedenti).

L'art. 595 C.P. tutela la reputazione, ovvero l’onore in senso oggettivo, inteso come la considerazione e la stima di cui l’individuo gode nella comunità sia sotto il profilo morale che sociale.

Dunque, la reputazione non si identifica con la "considerazione che ognuno ha di sè o con il semplice amor proprio, ma con il senso della dignità personale in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico" (Cass. Pen. sez. V, Sent. n. 3247 del 24/03/1995).

Infine, "... l'offesa alla reputazione può anche consistere nell'aggressione alla sfera del decoro professionale". (Cass. Pen. Sez. V, Sent. n. 5945 del 18/06/1982). 

Continua...
 

 A cura dell'avv. Claudia Benvenuti

giovedì 15 dicembre 2011

Il bollo dopo l'acquisto dell'auto usata

Con questo breve articolo spero di rispondere a tutti quanti mi hanno chiesto chiarimenti sul chi sia responsabile, tra venditore e acquirente (privati), in caso di mancato pagamento del  bollo auto e a chi spetti pagare la relativa sanzione.


Bollo Auto: tassa in base al possesso.
La tassa automobilistica su auto e moto è dovuta periodicamente, di anno in anno, dal proprietario in ragione del possesso del veicolo e indipendentemente dall’utilizzo del medesimo su strade pubbliche. Il possesso è presunto in base a quanto risulta dal pubblico registro automobilistico (Pra) per tutti i veicoli soggetti alla iscrizione in tale registro (mentre per i pochi casi di veicoli non iscritti nel Pra, fa fede il registro di immatricolazione tenuto dagli uffici della Motorizzazione). Nelle ipotesi in cui, tuttavia, l’automobilista rimane intestatario di un veicolo da egli non più posseduto è consentito fornire la prova contraria rispetto alle risultanze del Pra.


Il bollo dopo l’acquisto dell’usato da altro automobilista: a chi spetta il pagamento della tassa e su chi ricade la responsabilità in caso di omissione. 
Per l'auto acquistata usata da un privato (cioè non da un rivenditore autorizzato) l'acquirente, se il bollo è in corso di validità, deve collegarsi alla scadenza originaria dello stesso. Dunque, deve pagare entro i termini entro i quali avrebbe dovuto mettersi in regola il precedente proprietario del veicolo. In pratica, l'acquirente (collegandosi alla scadenza del precedente "bollo") deve pagare il rinnovo secondo le normali regole: cioè, entro il mese successivo a detta scadenza.

Nell'acquisto di veicolo con "bollo" scaduto in precedenza (quindi in posizione di irregolarità rispetto ai termini di pagamento), è da considerare che l'obbligo di pagamento è posto a carico della persona che risulta intestataria al Pra nell'ultimo giorno utile di pagamento del rinnovo (di norma, l'ultimo giorno del primo mese non coperto da pagamento), sempre che entro tale data non sia intervenuto un atto di trasferimento. Il che vuol dire che se l'acquirente è in tempo per pagare nei termini, egli non ha che da pagare il rinnovo collegandosi alla scadenza precedente. Se invece l'acquisto di un'auto senza "bollo" è fatta successivamente, le conseguenze del mancato pagamento non potranno che ricadere sul venditore, in quanto intestatario alla scadenza del termine utile per il pagamento. 

Più semplicemente, se il termine per il pagamento del bollo è scaduto prima dell’acquisto del mezzo, la responsabilità per l'omesso pagamento ricadrà sul precedente proprietario e l’acquirente dovrà rinnovare il bollo solo a partire dal periodo d’imposta che inizia successivamente all’acquisto (fa fede la data in cui l’atto di vendita viene autenticato dal notaio): per esempio, se il bollo è scaduto a dicembre 2002 (e quindi va rinnovato entro gennaio 2003) e l’atto di vendita viene autenticato nel febbraio 2003, l’acquirente dovrà solo preoccuparsi di rinnovare il bollo nel gennaio 2004 per il periodo d’imposta che va dal gennaio 2004 al dicembre 2004. 

A cura dell'avv. Claudia Benvenuti

martedì 6 dicembre 2011

Condominio: ripartizione delle spese per la pulizia delle scale

Domande & Risposte

Da oggi (vista la chiusura di splinder) ripubblicherò, di tanto in tanto, alcune delle e-mail inviatemi per chiarimenti e quesiti legali, le cui risposte possono avere interesse generale. Naturalmente, rese debitamente impersonali ed anonime. 
"Nel mio condominio sono sorti problemi relativamente alla ripartizione delle spese per la pulizia delle scale condominiali. Come si potrebbe comporre la questione? Il regolamento non dice nulla in merito alla ripartizione di queste spese". 
Lettera firmata. 

Secondo l’art. 1124 del Codice civile, le scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo. 
Al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune. Ma le spese di pulizia delle scale non si ripartiscono ex art. 1124, bensì ex art. 1123 C.C. 
Infatti, per consolidata Giurisprudenza in tema di ripartizione di oneri condominiali, le spese per l'illuminazione e la pulizia delle scale non rientrano nelle spese per la conservazione delle parti comuni, tendenti cioè a preservare l'integrità e a mantenere il valore capitale delle cose, bensì in quelle utili a permettere ai condomini un più confortevole uso o godimento delle cose comuni e di quelle proprie. Con la conseguenza che ad esse i condomini sono tenuti a contribuire non in base ai valori millesimali di comproprietà, ma secondo l'uso che ciascuno di essi può fare delle parti comuni (scale) in questione, secondo il criterio fissato dall'art. 1123, comma secondo. “In tema di condominio di edifici, la disposizione dell'art. 1124 c.c. concernente la ripartizione fra i condomini delle spese di manutenzione delle scale, come la norma di regolamento condominiale che vi si conformi, riguarda le spese relative alla conservazione della cosa comune che si rendono necessarie a causa della naturale deteriorabilità della stessa per consentirne l'uso ed il godimento e che attengono a lavori periodici indispensabili per mantenere la cosa in efficienza. La disposizione non riguarda, pertanto, le spese di pulizia delle scale, alle quali i condomini sono tenuti a contribuire in ragione dell'utilità che la cosa comune è destinata a dare a ciascuno e che l'assemblea può legittimamente ripartire in virtù delle attribuzioni riconosciutele dall'art. 1135 c.c., anche modificando i precedenti criteri con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c. trattandosi di criteri aventi natura solo regolamentare” (Cassazione Civile del 19/02/93 n. 2018). 

Dunque, le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, saranno sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione. 

Però, se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese saranno ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne. Infine, qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione saranno a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità. 

A cura dell'avv. Claudia Benvenuti

venerdì 2 dicembre 2011

Diffamazione via internet

Nella diffamazione via internet il reato si compie dove le offese sono viste dal maggior numero di persone.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, I sezione Penale, con la sentenza n. 16307 depositata il 26/4/2011. 
Viene, dunque, recepito il precedente stabilito dalla Suprema Corte, medesima sezione, con la sentenza n. 2739/2011: ai fini dell’individuazione della competenza, si deve far ricorso ai criteri suppletivi fissati dal II comma dell’art. 9 c.p.p, per quanto concerne l’offesa della reputazione altrui realizzata via internet.

I giudici di legittimità affrontando un caso di diffamazione in cui i server erano dislocati ad Arezzo e l’amministratore del sito era di Sassari hanno precisato che “il locus commissi delicti della diffamazione telematica è da individuare in quello in cui le offese e le denigrazioni sono percepite da più fruitori della rete e, dunque nel luogo in cui il collegamento viene attivato e ciò anche nel caso in cui il sito web sia stato regitrato all’estero, perché l’offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovano in Italia”. E i giudici hanno ulteriormente precisato che “rispetto all’offesa della reputazione altrui realizzata via internet, ai fini dell’individuazione della competenza, sono inutilizzabili, in quanto di difficilissima se non impossibile individuazione, i criteri oggettivi unici, quali, ad esempio, quelli di prima pubblicazione, di immissione della notizia in rete, di accesso del primo visitatore”. Non solo. “Per entrambe le ragioni esposte – concludono i giudici – non è neppure utilizzabile quello del luogo in cui è situato il server (che può trovarsi in qualsiasi parte del mondo), in cui il provider alloca la notizia”.
Dunque, "non possono trovare applicazione né la regola stabilita dall’art. 8 c.p.p. né quella fissata dall’art. 9, comma I, c.p.p.” e il Collegio ha ritenuto “che non vi sia motivo di discostarsi dal [..] orientamento, con la conseguenza che è necessario far ricorso ai criteri suppletivi fissati dal II comma del predetto art. 9 c.p.p., ossia al luogo di domicilio dell’imputato.”

A cura dell'avv. Claudia Benvenuti

Per il testo integrale della sentenza

martedì 29 novembre 2011

Sanzioni bollo auto: cosa fare


Bollo auto: sanzioni su auto venduta. 
In questi giorni, molti automobilisti stanno ricevendo multe per bollo auto non pagati. Spesso questi automobilisti non sono più proprietari dell'auto, cui la sanzione di riferisce, per averla venduta diversi anni addietro. Infatti, non è inusuale che l’autorità che notifichi la sanzione non abbia la situazione aggiornata della proprietà del veicolo. 

Ecco cosa fare.
Per prima cosa bisogna controllare che il trasferimento di proprietà sia stato annotato nel Pubblico Registro Automobilistico. Si ricorda, infatti, che l’efficacia verso i terzi dell’atto di vendita si ottiene solo con la sua registrazione al PRA.  Quindi, verificate in base al numero di targa a chi il veicolo risulti intestato. Se il mutamento di proprietario risulta annotato, siete a posto. Fatevi fare un certificato cronologico e con questo chiedete l'annullamento della multa.

Se invece al PRA  risultate ancora voi proprietari del mezzo in questione, è indispensabile ritrovare l'atto di vendita del veicolo.

Per essere esonerati dal pagamento del bollo auto bisogna dimostrare, con documentazione avente data certa, l'indisponibilita' del veicolo. Per documentazione avente data certa s'intendono, tra gli altri, gli atti pubblici di vendita o prodotti con firma autenticata nelle forme di legge. Gli effetti decorrono dalla data dell'atto pubblico o dalla autentica delle firma.


L'articolo 94 del "Codice della strada" si occupa proprio dei casi di esonero del pagamento delle tasse automobilistiche - soprattasse (ora sanzioni amministrative) e accessori - e di annullamento delle relative procedure di riscossione coattiva per le ipotesi di sopravvenuta cessazione dei diritti connessi a beni mobili iscritti al Pubblico registro automobilistico, cessazione non trascritta o annotata ai sensi di legge - in quanto non debitamente richiesta dalla parte interessata - ma comunque attestata da "idonea documentazione".

Tale disposizione è chiaramente ispirata all'indirizzo della S.C. di Cassazione, I sez.civ., sent.n.10794/97 del 29.5.97 - riguardo ai criteri di pagamento delle tasse automobilistiche in base alle risultanze presso il PRA (ex art.5., commi 31°, 32°, 36° e 37°, del decreto legge 30 dicembre 1982, n.953, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1982, n.953, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1983, n.53) e all'annotazione quale istituto atto a porre una presunzione relativa circa la titolarità dei veicoli ivi iscritti, superabile dalla prova contraria a mezzo di documenti aventi "data certa" con effetti liberatori estensibili al rapporto tributario.

In siffatta evenienza, l'esonero dal pagamento delle tasse automobilistiche non fa venir meno, però, l'obbligo dell'acquirente di un veicolo di richiedere al competente ufficio del PRA la trascrizione del trasferimento o degli altri mutamenti indicati al comma 1 dell'articolo 94 del codice della strada.  In caso di violazione si è soggetti alle sanzioni amministrative previste ai successivi commi 3 e 4.

Si evidenzia che, qualora venga rinvenuto l’atto di vendita, si può procedere direttamente alla trascrizione dell’atto in base all’articolo 11 del DM 514/92 cosiddetta "tutela del venditore". In questo caso è consentita la trascrizione dell’atto pur senza i documenti del veicolo.

Se non viene rinvenuto alcun documento e non si riesce a risalire a chi si è venduto, nè al notaio che ha autenticato l'atto, occorre pagare tutte le tasse arretrate rimaste inevase, fino al momento in cui si presenterà al Pra denuncia di perduto possesso della vettura, con una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà. L'obbligo di pagare le tasse automobilistiche cessa con la presentazione di questa denuncia.

La dichiarazione sostitutiva attestante la perdita di possesso dell'auto distrutta, venduta o rubata, infatti, non ha efficacia retroattiva tranne nel caso in cui essa sia accompagnate da una documentazione integrativa che rafforzi le attestazioni in esse contenute (in base ad una circolare dell'Agenzia delle Entrate del 2002).

ATTENZIONE: la richiesta di annullamento di cui sopra accennato costituisce una sorta di “autotutela”, un tentativo stragiudiziale di ottenere l'annullamento di un verbale palesemente errato. E', dunque, importante presentare l'istanza quanto prima e accertarsi che non decorra il termine di 60 giorni utili per presentare l'eventuale ricorso. La richiesta di annullamento, infatti, non interrompe il decorso del termine.

A cura dell'avv. Claudia Benvenuti