mercoledì 4 dicembre 2019

E' reato procedibile d'ufficio la violazione degli obblighi di assistenza familiare

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37090/2019 del  4 settembre, ribadisce che l'omessa corresponsione del mantenimento per i figli minori, costituisce reato perseguibile d'ufficio ed esclude la possibilità di proscioglimento a seguito di remissione di querela.

Il caso ha la seguente origine: il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale X, giudicando in abbreviato a seguito dell'opposizione al decreto penale, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Y, in relazione al reato di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3 (in relazione alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies e all'art. 570 c.p.) per essersi sottratto all'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento ai tre figli minori, come disposto in sede di separazione, per essere il reato estinto per intervenuta remissione di querela.

Ricorreva il Procuratore Generale presso la Corte d'appello, il quale chiedeva l'annullamento della sentenza impugnata, denunciando la violazione di legge (L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3 in relazione alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies, artt. 570, 570-bis c.p.) perché il reato per il quale si procedeva era perseguibile d'ufficio laddove, come nel caso di specie, commesso in danno dei figli minori degli anni 18.

La suprema Corte accoglieva il ricorso, ritenendolo fondato, per i seguenti motivi:

1. La giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata ad affermare che "in tema di reati contro la famiglia, la fattispecie di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12-sexies, richiamata dalla previsione di cui alla L. n. 54 del 2006, art. 3, che punisce il mero inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento stabilito dal giudice a favore dei figli (senza limitazione di età) economicamente non autonomi, è reato perseguibile d'ufficio a natura permanente, la cui consumazione termina con l'adempimento integrale dell'obbligo ovvero con la data di deliberazione della sentenza di primo grado, quando dal giudizio emerga espressamente che l'omissione si è protratta anche dopo l'emissione del decreto di citazione a giudizio" (Sez. 6, n. 23794 del 27/04/2017, P.G. in proc. B., Rv. 270223).

2. Non sussistono neppure dubbi che, quanto ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, vi è continuità normativa tra la fattispecie prevista dall'art. 570-bis c.p. e quella prevista dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3 (Sez. 6, n. 56080 del 17/10/2018, G., Rv. 2747329, sicché la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di X perché proceda a nuovo giudizio facendo applicazione dei richiamati principi di diritto.

lunedì 24 giugno 2019

No al divieto assoluto di accesso dei cani nelle spiagge libere


Il Tar del Lazio, I^ sezione, con la sentenza n. 176/2019 ha stabilito che i Comuni non possono vietare in senso assoluto l'accesso dei cani nelle spiagge libere. 
Occorrono rimedi alternativi che non comprimano la libertà dei proprietari, prevedendo o limitazioni orarie oppure stabilendo l'accesso in aree determinate e il divieto in altre.

La decisione è stata presa accogliendo il  ricorso di una Onlus contro l'ordinanza del Comune di Latina, nella parte in cui aveva vietato ai conduttori di animali di poter accedere alle spiagge del litorale durante la stagione balneare. 
Tale ordinanza è stata ritenuta illegittima per difetto di motivazione, oltre che per violazione del principio di proporzionalità, avendo vietato in maniera assoluta l'ingresso agli animali sulle spiagge destinate alla libera balneazione.  L'amministrazione avrebbe dovuto, invece, valutare la possibilità di perseguire le finalità pubbliche del decoro, dell'igiene e della sicurezza mediante regole alternative al divieto assoluto di frequentazione delle spiagge, ad esempio valutando se limitare l'accesso in determinati orari, o individuare aree adibite anche all'accesso degli animali, con l'individuazione delle aree viceversa interdette al loro accesso.


Come già affermato dalla giurisprudenza "la scelta di vietare l'ingresso agli animali sulle spiagge destinate alla libera balneazione, risulta irragionevole ed illogica, oltre che irrazionale e sproporzionata, anche alla luce delle viste indicazioni regionali che attribuiscono ai comuni il potere di individuare, in sede di predisposizione del PUA, tratti di arenile da destinare all'accoglienza degli animali da compagnia. In particolare come ha avuto modo di precisare la giurisprudenza in vicende del tutto similari, l'amministrazione avrebbe dovuto valutare la possibilità di perseguire le finalità pubbliche del decoro, dell'igiene e della sicurezza mediante regole alternative al divieto assoluto di frequentazione delle spiagge, ad esempio valutando se limitare l'accesso in determinati orari, o individuare aree adibite anche all'accesso degli animali, con l'individuazione delle aree viceversa interdette al loro accesso" (Tar Calabria, Sez. Reggio Calabria, sent. n. 225/2014).

martedì 16 aprile 2019

I reati di commercio di prodotti con segni falsi e di ricettazione


La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 10212 dell’8 marzo 2019, ha ribadito il suo orientamento giurisprudenziale per quanto riguarda il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi ed il valore indiziante della omessa o non attendibile indicazione della provenienza del bene per il reato di ricettazione.
In base a tale sentenza, dunque, “integra il reato di commercio di prodotti con segni falsi la riproduzione di un personaggio di fantasia, tutelato da marchio registrato, ancorché non fedele, ma espressiva di una forte somiglianza, quando sia possibile rilevare un’oggettiva e inequivocabile possibilità di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore” .

Ha stabilito, inoltre che, perché possa ritenersi sussistente il  delitto previsto e punito dall'art. 474 C. P.,  quando "si tratti di marchio di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici, non è richiesta la prova della sua registrazione, gravando in tal caso l’onere di provare la insussistenza dei presupposti per la sua protezione su chi tale insussistenza deduce”.

Infine, riguardo al reato di ricettazione ex art. 648 C. P., la Suprema Corte ribadendo il suo consolidato orientamento, ha confermato che per la sua configurabilità “la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta,  la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede”.