venerdì 18 maggio 2018

Le crepe dell'intonaco possono costituire grave vizio dell'opera


Anche le semplici crepe dell'intonaco possono essere annoverate tra i gravi vizi dell'opera ai sensi dell'art. 1669 del codice civile, se compromettono funzionalità e normale utilizzo del bene

Questo è quanto stabilisce la sentenza n. 10048/2018 della Suprema Corte di Cassazione, accogliendo la linea interpretativa fatta propria dalle sezioni unite (Cass. sez. Unite, sent. n. 7756 del 2017): anche vizi che riguardino elementi secondari ed accessori, come i rivestimenti, devono ritenersi tali da compromettere la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest'ultimo. 
"Come noto, in edilizia il rivestimento (verticale o murale e orizzontale, quest'ultimo se sottostante definito pavimento - v. per l'utilizzo delle nozioni ad es. art. 1125 cod. civ.) è applicato agli elementi strutturali di un edificio con finalità di accrescimento della resistenza alle aggressioni degli agenti chimico-fisici, anche da obsolescenza, e atmosferici, svolgendo anche funzioni estetiche; in tale quadro le fessurazioni o microfessurazioni (tra le quali le cavillature) di intonaci (o anche di altri tipi di rivestimento), se non del tutto trascurabili, a prescindere dalla possibilità di dar luogo o no a infiltrazioni, realizzano comunque nel tempo una maggiore esposizione alla penetrazione di agenti aggressivi sugli elementi strutturali, per cui esse - pur se ascrivibili a ritrazione dei materiali - sono prevenute mediante idonee preparazioni dei rivestimenti in senso compensativo e idonea posa. A prescindere da ciò, peraltro, quand'anche le fessurazioni o crepe siano inidonee a mettere a rischio altri elementi strutturali e quindi impattino solo dal punto di vista estetico, e siano eliminabili con manutenzione anche meramente ordinaria (Cass. n. 1164 del 1995 e n. 1393 del 1998), esse - in quanto incidenti sull'elemento pur accessorio del rivestimento (di norma, l'intonaco) - debbono essere qualificate in via astratta, ove non siano del tutto trascurabili, idonee a compromettere la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene e, quindi, a rappresentare grave vizio ex art. 1669 cod. civ. (così Cass. sez. Unite n. 7756 del 2017)". 
Per tale motivo, deve ritenersi superato il precedente indirizzo per cui lesioni - anche sotto forma di microfessurazioni - ai rivestimenti (pur se d'intonaco) potevano considerarsi "irrilevanti in quanto incidenti solo dal punto di vista estetico (v. ad es. Cass. n. 13268 del 2004 e n. 26965 del 2011, ma in senso contrario v. già n. 12792 del 1992). Ciò, del resto, è coerente anche con il sempre maggior rilievo che il decoro degli edifici svolge ai fini del loro godimento e commerciabilità secondo l'evoluzione sociale."

Leggi la Sentenza Cassazione 24 aprile 2018, n. 10048

domenica 18 marzo 2018

DIRITTO D’AUTORE E BREVETTI

In tema di diritto d’autore esiste differenza tra le opere delle arti figurative, tutelate dall'articolo 2 n. 4 della legge 633/1941, e quelle del disegno industriale, tutelate dal n. 10 del medesimo articolo, in quanto la caratteristica di queste ultime risiede nel fatto che esse trovano la loro collocazione nella fase progettuale di un oggetto destinato a una produzione seriale, quale è quella industriale, mentre le prime costituiscono un prodotto della creatività, identificabile attraverso il suo autore e declinato nella forma figurativa, che deve trovare espressione in un solo esemplare o in un numero limitato di esemplari ed è destinato a un mercato differente, sicuramente più ristretto, rispetto a quello cui sono indirizzati i beni oggetto della produzione industriale.

Cassazione civile, sentenza n. 658 del 12 gennaio 2018

mercoledì 28 febbraio 2018

Costituisce reato imporre il collare anti-abbaio


La Suprema Corte sancisce che imporre il collare anti-abbaio al cane costituisce reato ed è punito penalmente.
Commette il reato di maltrattamenti chi chi impone al proprio cane il collare anti-abbaio, che gli infligge una scossa elettrica ogni volta che abbaia. 
A sancirlo è stata la terza sezione penale della Corte di Cassazione (con la sentenza n. 3290/2018), confermando la condanna a carico di un uomo per il reato ex art. 727 c.p..

Nel caso in oggetto, un uomo era stato condannato alla pena di 800 euro di ammenda per il reato di cui all'art. 544 ter c.p., derubricato poi in art. 727 c. 2 c.p., per il maltrattamento dei propri cani, che venivano detenuti con collari c.d. "anti-abbaio", aventi la caratteristica di emanare scosse elettriche all'abbaiare, in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di sofferenze.

Secondo l'imputato, invece, i cani erano stati trovati in buona salute. Pertanto, la sentenza andava annullata per inosservanza od erronea applicazione della legge penale, difettando "il requisito essenziale costituito dalle lesioni, che ha giustificato la derubricazione nell'ipotesi contravvenzionale – e mancando - comunque la prova che l'avere apposto i collari anti-abbaio costituisca condotta incompatibile con la natura dei cani o che abbia recato loro sofferenze, essendo evidente che i collari servivano ad evitare che fosse provocato disturbo ai vicini".

Tali censure prospettate dal ricorrente, peraltro, sottoponevano aspetti di esclusiva competenza del giudice di merito, ma i giudici della Suprema Corte riportandosi a precedenti orientamenti (cfr. Sez. III, n. 21932 del 11/02/2016, Sez. III, n. 15061 del 24/01/2007), stabilivano che l'utilizzo del collare anti-abbaio concretizza la fattispecie di cui all'articolo 727 del Codice Penale.

L'uso del collare anti-abbaio, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, "integra il reato di cui all'art. 727 c.p., in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull'integrità psicofisica dell'animale" (cfr., tra le altre, Cassazione n. 38034/2013).

A tal fine, ricordano che per quanto attiene al reato x art. 727 c.p., è giurisprudenza consolidata che, "ai fini dell'integrazione degli elementi costitutivi, non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull'animale, né che quest'ultimo riporti una lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti".

I giudici affermano inoltre che "é stato precisato che costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione".

Per "abbandono", deve intendersi non solo la condotta di distacco volontario dall'animale, ma anche qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione, inclusi comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia.

Nel caso in questione, dunque, la Cassazione sanciva che i giudici di merito avevano agito correttamente, dichiarava inammissibile il ricorso e confermava la condanna.

Corte di Cassazione, III Sezione Penale, sentenza del 24 gennaio 2018, n. 3290

sabato 27 gennaio 2018

Multa tramite autovelox: illegittima se manca indicazione del decreto prefettizio


Con la sentenza n. 26441 del 2016, la Suprema Corte si è pronunciata sull'annullabilità di un verbale di contestazione privo degli estremi del decreto del Prefetto, accogliendo le doglianze del ricorrente e confermando i suoi precedenti in materia.

Innanzitutto, ha ribadito che "il provvedimento del prefetto di individuazione delle strade o dei tratti di strada nei quali è autorizzato l'uso di strumenti di rilevazione automatica della velocità, può includere soltanto le strade del tipo imposto dalla legge mediante rinvio alla classificazione di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 2, trattandosi di provvedimento connotato da discrezionalità vincolata, come tale sindacabile dal giudice ordinario (Cass., sez. 2, sentenza n. 7872 del 2011)".

Ha, inoltre, confermato la sua costante giurisprudenza per cui "la mancata indicazione degli estremi del decreto prefettizio nel verbale di contestazione integra un vizio di motivazione del provvedimento sanzionatorio, che pregiudica il diritto di difesa e non è rimediabile nella fase eventuale di opposizione (ex plurimis, Cass., sez. 2, sentenza n. 2243 del 2008; sez. 6-2-, ordinanza n. 331 del 2015)".

Nel caso oggetto del ricorso, il verbale di contestazione non conteneva l'indicazione degli estremi del decreto prefettizio con il quale era autorizzata (sulla strada in questione) la rilevazione della velocità a mezzo autovelox e la contestazione differita, dunque la Suprema Corte accoglieva il ricorso e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., decideva la causa nel merito con il rigetto dell'appello.

Cassazione civile Sez. VI - 2 Sent. n. 26441 del 20/12/2016.