mercoledì 28 febbraio 2018

Costituisce reato imporre il collare anti-abbaio


La Suprema Corte sancisce che imporre il collare anti-abbaio al cane costituisce reato ed è punito penalmente.
Commette il reato di maltrattamenti chi chi impone al proprio cane il collare anti-abbaio, che gli infligge una scossa elettrica ogni volta che abbaia. 
A sancirlo è stata la terza sezione penale della Corte di Cassazione (con la sentenza n. 3290/2018), confermando la condanna a carico di un uomo per il reato ex art. 727 c.p..

Nel caso in oggetto, un uomo era stato condannato alla pena di 800 euro di ammenda per il reato di cui all'art. 544 ter c.p., derubricato poi in art. 727 c. 2 c.p., per il maltrattamento dei propri cani, che venivano detenuti con collari c.d. "anti-abbaio", aventi la caratteristica di emanare scosse elettriche all'abbaiare, in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di sofferenze.

Secondo l'imputato, invece, i cani erano stati trovati in buona salute. Pertanto, la sentenza andava annullata per inosservanza od erronea applicazione della legge penale, difettando "il requisito essenziale costituito dalle lesioni, che ha giustificato la derubricazione nell'ipotesi contravvenzionale – e mancando - comunque la prova che l'avere apposto i collari anti-abbaio costituisca condotta incompatibile con la natura dei cani o che abbia recato loro sofferenze, essendo evidente che i collari servivano ad evitare che fosse provocato disturbo ai vicini".

Tali censure prospettate dal ricorrente, peraltro, sottoponevano aspetti di esclusiva competenza del giudice di merito, ma i giudici della Suprema Corte riportandosi a precedenti orientamenti (cfr. Sez. III, n. 21932 del 11/02/2016, Sez. III, n. 15061 del 24/01/2007), stabilivano che l'utilizzo del collare anti-abbaio concretizza la fattispecie di cui all'articolo 727 del Codice Penale.

L'uso del collare anti-abbaio, che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza, "integra il reato di cui all'art. 727 c.p., in quanto concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull'integrità psicofisica dell'animale" (cfr., tra le altre, Cassazione n. 38034/2013).

A tal fine, ricordano che per quanto attiene al reato x art. 727 c.p., è giurisprudenza consolidata che, "ai fini dell'integrazione degli elementi costitutivi, non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull'animale, né che quest'ultimo riporti una lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti".

I giudici affermano inoltre che "é stato precisato che costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione".

Per "abbandono", deve intendersi non solo la condotta di distacco volontario dall'animale, ma anche qualsiasi trascuratezza, disinteresse o mancanza di attenzione, inclusi comportamenti colposi improntati ad indifferenza od inerzia.

Nel caso in questione, dunque, la Cassazione sanciva che i giudici di merito avevano agito correttamente, dichiarava inammissibile il ricorso e confermava la condanna.

Corte di Cassazione, III Sezione Penale, sentenza del 24 gennaio 2018, n. 3290

Nessun commento:

Posta un commento